Facciamo un balzo a fine Ottocento, nel periodo degli Impressionisti francesi e, cercando sempre l’acqua in questa estate arida e insolitamente calda, approdiamo negli stagni di ninfee di Claude Monet, prodotti nell’ultimo periodo artistico e di vita del pittore che in questo frangente abbandona ogni costrizione della forma andando oltre l’Impressionismo per approdare all’Astrattismo.
Un mondo di Ninfee
Dal 1883 Monet si trasferì in una piccola casa colonica vicino a Parigi dove iniziò a dare vita ad un giardino favoloso ricco di piante e fiori, aprendo per l’esigenza un piccolo bacino fluviale colmo di ninfee e piante acquatiche in perfetto stile giapponese in un tutt’uno d’arte floreale a cavallo tra oriente e occidente: iris, rose, tulipani, campanule, gladioli, glicini, salici piangenti, emerocalle, e giochi d’acqua. Qui realizzò una serie di circa 250 dipinti di Ninfee.
Il paradiso terrestre negli stagni di Monet
In questo luogo incantato e appartato, alle porte del mondo civilizzato, il pittore trascorse il resto della sua vita, non smettendo mai di dipingere sino al 1926. Il suo motivo conduttore fisso fu quello delle ninfee, restando sempre inappagato dalla sua esecuzione in quanto il tormento creativo lo portava a non essere mai soddisfatto del risultato raggiunto dalla sua opera pittorica. Le ninfee, infatti erano piante in grado di generare effetti luce cangianti e straordinariamente inarrivabili.
Un successo grandioso che conquista anche i letterati
Riscosse grande successo di critica e pubblico, nonostante la sua insoddisfazione di base che lo spingeva a riprovare e ricreare costantemente. Furono moltissimi anche gli scrittori attratti da questo incanto creativo, tanto da scriverne pubblicamente; nel tempo furono attratti dalle realizzazioni di Monet, incantati dalla bellezza e dalla straordinarietà di queste opere; uno su tutti Marcel Proust che scrisse:
«[…] giacché il colore che creava in sottofondo ai fiori era più prezioso, più commovente di quello stesso dei fiori; e sia che facesse scintillare sotto le ninfee, nel pomeriggio, il caleidoscopio di una felicità attenta, mobile e silenziosa, sia che si colmasse verso sera, come certi porti lontani, del rosa sognante del tramonto, tramutando di continuo per rimanere sempre in accordo, intorno alle corolle dalle tinte più stabili, con quel che c’è di più profondo, di più fuggevole, di più misterioso – con quel che c’è d’infinito – nell’ora, sembrava che li avesse fatti fiorire in pieno cielo […] Fiori di terra e anche fiori di acqua, queste tenere ninfee che il Maestro ha dipinto in tele sublimi […] sono come un primo, delizioso abbozzo di vita»
Il lavoro di Monet è nobile e potente
Per non disperdere tutte queste opere meravigliose, a partire dall’ottobre del 1920, si pensò di realizzare dodici enormi tele raffiguranti Ninfee, lunghe almeno quattro metri ciascuna e da esporsi permanentemente presso un locale ex novo. Le opere, seppur contro il volere iniziale del pittore, trovarono la loro collocazione definitiva nelle due stanze ovali al pianoterra dell’Orangerie des Tuileries. Le monumentali tele, appese l’una accanto all’altra, ricoprono interamente le pareti dei due spazi espositivi e formano globalmente un unico dipinto che circolarmente ritorna su sé stesso.
Una testimonianza su tutte per far comprendere l’enorme spettacolarità di questo sovrumano lavoro del pittore Amédée Ozenfant:
«Monet ha dedicato i suoi ultimi anni alla lirica serie delle Ninfee. Quando lo vidi rimasi meravigliato nel sorprendere me stesso nell’atto di togliermi il cappello di fronte all’uomo che le aveva dipinte. Se la tela provoca reazioni così istintive, non c’è verso che la si possa negare: il lavoro di Monet è nobile e potente».
Claude Monet tra Impressionismo e Astrattismo nei suoi stagni di ninfee